In occasione dell’inaugurazione della nostra nuova pagina Linkedin che, per coincidenza astrale, avviene proprio in Marzo, mese in cui si celebra la festa della donna, il nostro Studio a vocazione prevalentemente femminile (..nel quale Stefano Daldosso rappresenta il pianeta maschile di questo gineceo !..) vuole dare un contributo alla causa con una riflessione sul ruolo femminile nel rapporto con il diritto e più in generale la giustizia.
Il thema, ne siamo ovviamente consapevoli, è molto ampio sicché lo limitiamo ad una più ristretta ma peculiare chiave di lettura nell’ambito della vasta simbiosi tra il femminile e la giustizia e tutto ciò che attorno ad essa orbita, una chiave di lettura rinvenibile nella correlazione che la mitologia, l’arte, il teatro ed il cinema hanno individuato tra i predetti due aspetti del rapporto.
Un premessa è necessaria, anzi doverosa: non ci si sofferma mai “sul genere” delle parole che utilizziamo , ma qualora il leguleio (avvocato, magistrato, notaio e dintorni…) prestasse attenzione ai termini che egli utilizza quotidianamente nello svolgimento del proprio lavoro, si accorgerebbe che molteplici di essi sono di genere femminile.
Sono di genere femminile, significativamente, i termini “giustizia”, “legge”, “norma” , così come è declinata al femminile la “sentenza” ed è al femminile la stessa norma fondamentale del nostro ordinamento, e cioè la “Costituzione” che tutti gli altri Stati ci invidiano .
Crediamo che ciò non sia un caso, bensì il risultato di un processo di identificazione e personificazione dei predetti concetti in entità di carattere femminile. Ed infatti non sorprende che vi sia una forte presenza di termini declinati al femminile, se si pensa alle rappresentazioni artistiche della giustizia, che viene quasi sempre ritratta con le sembianze di una donna, con diverse varianti, a volte bendata, come simbolo di incorruttibilità, a volte munita di spada quale simbolo della forza e del potere necessario per imporre e far rispettare le decisioni, ovvero di una bilancia a rappresentare il concetto di imparzialità.
Nelle religioni antiche la giustizia è sempre stata rappresentata da divinità di sesso femminile. Nell’antico Egitto era Maat la dea dell’ equilibrio, dell’ordine, dell’armonia, della legge e regola, della moralità e della giustizia. Nella antica Grecia la giustizia veniva personificata dalla dea Themis , e la dea vergine (e pertanto incorrotta) e vendicatrice dei torti era “Dike” (che verrà poi chiamata “Iustitia” dai romani), figlia di Zeus e Themis e parte della triade delle ore, assieme alle due sorelle (anch’esse divinità femminili) Eunòmia ( “buona costituzione”, anche detta “dea dell’ordinamento legale” ) e Irène, dea della pace. Compito delle tre sorelle era quello di vegliare sull’operato degli uomini per assicurarne la rettitudine.
Ed è ancora una fonte greca, una tragedia per la precisione, ad esprimere un personaggio, quello di Antigone, della omonima opera presentata da Sofocle nel 442 a.c., che rappresenta l’innato legame della donna con la giustizia intesa come necessaria prevalenza del diritto naturale (nello specifico diritto divino) rispetto alle leggi umane intrinsecamente ingiuste, come il decreto del re di Tebe Creonte, zio di Antigone, che le avrebbe impedito di procedere alla sepoltura del di lei fratello Polinice, con conseguente violazione delle leggi divine che imponevano la sepoltura dei defunti.
Ed è Antigone ad affermare nella tragedia di Sofocle: “sì, certo, perché Zeus non ha voluto imporre a me divieti, e Dike, quella che dimora coi numi di sotterra, per l’uomo non ha mai fissato norme simili. D’altro canto, io non credevo che umani editti avessero sì grande forza da conferire ad un mortale la facoltà di violare le leggi divine, non mai scritte, ma immutabili. per queste leggi, che al volere dell’uomo tremebonde non cedono, io non sono in verità colpevole di nulla”.
E’ poi il teatro, anche se molti secoli dopo ( ..siamo alla fine del 1500 …) rispetto alla tragedia sofoclea sopra citata a regalarci un personaggio, quello della nobildonna Porzia Baldassarre , figura del dramma shakespeariano “Il mercante di Venezia”, la quale , clandestinamente, si improvvisa avvocato (…o avvocata ? ..), sfruttando un accorto travestimento da uomo, per accorrere in aiuto del caro amico del marito Bassanio, il mercante Antonio, citato in giudizio davanti al Doge per vedere adempiuto un contratto che avrebbe previsto, come conseguenza dell’impossibilità di rimborsare quanto preso in prestito dall’usuraio ebreo Shylock, il prelievo, da parte di quest’ultimo, di una libbra di carne a scelta proprio dal corpo dello sfortunato mercante. Ed è proprio Porzia che, grazie ad un’arringa fondata su un’intelligente interpretazione del contratto in questione, che consentiva sì il prelievo di carne, ma in un quantitativo specifico e senza alcuno spargimento di sangue, a salvare la vita di del mercante Antonio. Arringava Porzia, efficacemente: “perciò prepàrati a tagliar la carne, ma bada bene a non versare sangue, ed a non ritagliar, né più e né meno, che una libbra di carne ben precisa; perché se ne tagliassi in più o in meno, foss’anche questo “più” o questo “meno” la ventesima parte d’uno scrupolo, sì, dico, anche qualcosa che sposti la bilancia d’un capello, per te sarà la morte, e tutti tuoi averi confiscati”.
Facendo salti di secoli , il tema dell’emancipazione femminile rispetto all’esercizio delle professioni legali, quale emergeva già, seppur sfumatamente e “clandestinamente”, da quella lettura del Mercante di Venezia di Shakespeare, troverà ampia trattazione in un’opera cinematografica a noi contemporanea, che celebra la vita di un personaggio femminile fondamentale che ha posto le basi per consentire l’apertura delle donne alla professione e consentire così, ora, anche a noi stesse colleghe di Studio, di “fare l’avvocato”: il riferimento non può che essere rivolto all’avv. Lidia Poët, la prima donna ammessa all’esercizio dell’avvocatura in Italia.
La serie, ormai molto nota in quanto prodotta e diffusa da una delle principali piattaforme di intrattenimento in uso al giorno d’oggi, sebbene ritragga l’avv. Poët più che altro intenta allo svolgimento di indagini (che oggi definiremmo indagini difensive) e poco dedita alle attività più puramente processuali, ha l’innegabile pregio di aver portato l’attenzione del pubblico sulla lotta portata avanti con determinazione dalle donne per l’accesso ad alcuni uffici e professioni, tra le quali quella di avvocato, dalle quali le stesse furono per lungo tempo escluse, a torto perché non ritenute adatte, se non addirittura antropologicamente inidonee.
Pertanto chissà cosa penserebbe l’avv. Poët del tempo se potesse analizzare i dati attuali contenuti nel rapporto Censis sull’avvocatura 2022, che evidenzia una distribuzione per genere della popolazione forense che vede (…per ora…) solo una leggera prevalenza maschile sul totale, potendosi contare 126mila gli avvocati uomini e 115mila le donne, ma, significativamente, una più netta prevalenza di donne tra gli avvocati con età inferiore ai 35 anni, segnatamente il 59,1% sul totale.
Certo…. il rapporto evidenzia anche che occorre sommare il reddito di due donne per sfiorare (e senza peraltro raggiungerlo) il livello medio percepito da un uomo , ma questo …è un altro discorso! Come è altrettanto certo è che le donne riscontrino comunque maggiori difficoltà nel conciliare famiglia e professione….ed anche questo è un altro discorso!
Posto che l’avv. Poët converrebbe con noi che , sociologicamente parlando, devono essere fatti ancora molti passi avanti per garantire alle donne ed alle professioniste del settore giuridico il riconoscimento stesso, in sé, del ruolo che spetta loro di diritto e che si sono conquistate con determinazione e tenacia, e che la mitologia, il teatro e l’arte riconoscono da secoli, l’avv. Poët sarebbe comunque oltremodo orgogliosa dei passi da gigante compiuti dalle donne nella professione!
Non sottacendosi quella considerazione di partenza, quella sorta di dogma esegetico da cui siamo partite , che e cioè che in fondo in fondo la giustizia, è Femmina!
Avv. Giulia Sofia Cucurnia
Lo Studio ringrazia calorosamente il collega e amico Avv. Paolo Bertolotti per il prezioso supporto dimostrato.